Elaborando i dati forniti dall’Istituto Superiore di Sanità su COVID-19, si può notare che nel periodo dall’11 al 25 ottobre (l’ultimo disponibile) gli ultra-70enni contribuiscono al 12% circa dei casi, ma all’86% dei decessi. Questo per alcuni è un motivo per invocare la segregazione degli anziani ultra 70enni. Ma analizziamo con maggior attenzione i dati.

È interessante confrontare i quozienti di mortalità x COVID-19, rispetto a quelli per tutte le cause nella popolazione italiana. Le tabelle qui sotto presentano questo confronto per ogni classe di età e calcolano gli SMR (tassi di mortalità standardizzati – standardizzazione indiretta).

Tra la tabella a sinistra (casi e decessi per COVID dall’inizio dell’epidemia) e quella a destra (mortalità in un anno per tutte le cause) vi sono differenze notevoli nei quozienti di mortalità, soprattutto per le classi più anziane; mentre nelle ultime due settimane per i quali sono disponibili i dati le cose andrebbero decisamente meglio (tabella in mezzo).

Notiamo come il contributo degli ultra 70enni sia pari:

• dall’inizio dell’epidemia al 24% circa dei casi, e all’85,4% dei decessi (COVID)
• nelle ultime due settimane al 12,2% circa dei casi, e all’86,1% dei decessi (COVID)
• per la mortalità generale al 17,1% circa della popolazione, e all’83,5% dei decessi (all causes).

Insomma, quando si dice che la COVID sta facendo “strage di anziani” si dimentica che questo vale purtroppo per la globalità delle cause di morte. Probabilmente alla tragedia COVID ha inizialmente contribuito in maniera decisiva la diffusione dell’infezione nelle RSA.
Se volessimo provare a considerare l’età come test per prevedere la mortalità, si otterrebbero i seguenti risultati (vedi figura):

Ecco le principali caratteristiche del “test”:

Ripetendo lo stesso procedimento (età come test per prevedere la mortalità generale), si ha:

Come si vede dall’aspetto delle ROC curves e dal confronto tra le prestazioni del test “età”, sembra che la COVID si differenzi molto dal comportamento delle varie cause di morte, nel condizionare la mortalità sulla base dell’età.

Avere più di 70 anni espone sempre e comunque a maggiori rischi, e dunque gli ultra-70enni vanno comunque protetti: non solo da COVID, ma da tutte le varie patologie acute e croniche, e dai vari fattori di rischio, soprattutto a queste collegati evitabili o mitigabili. Pur non essendo tutto quanto evitabile, sembra doveroso un comportamento idoneo a minimizzare i rischi di malattia, per quanto possibile.

Non si vuole con questo assolutamente minimizzare la serietà della COVI-D, che tra l’altro in queste ultime settimane sta mostrando nuovamente la sua capacità di portare gravi danni alla salute di tutti quanti, anziani in primis.