Sono passati da poco 4 anni dalla scomparsa (13 maggio 2015) di David Sackett, noto come “il padre dell’Evidence-based Medicine (EBM)”.
Nato nel 1934, stabilisce a metà degli anni ’60 la cattedra di Epidemiologia Clinica e Biostatistica alla McMaster University, dove si occupa soprattutto di formazione in ambito di epidemiologia clinica. Non trascura l’attività clinica, dirigerà la Divisione di Medicina Interna Generale nella regione di Hamilton.
In seguito si trasferisce a Oxford dove fonda e dirige il Centre for Evidence-Based Medicine. Qui partecipa anche alla nascita della Cochrane Collaboration. Nel 1999 fa ritorno in Canada dove riprende a scrivere e a insegnare sui trial clinici randomizzati.
Ha pubblicato 12 libri, indimenticabili sono “Clinical Epidemiology” (come applicare i metodi dell’epidemiologia alla medicina clinica) e “How to Practice and Teach EBM”, e oltre 300 articoli di grande rilievo su varie riviste. Importanti le due serie di articoli, da lui curate, pubblicate da JAMA: Users’ Guides to the Medical Literature e The Rational Clinical Examination.
Nel novembre del 1992 esce su JAMA un articolo che presenta ufficialmente il movimento della Evidence-based Medicine, un nuovo approccio per insegnare e praticare la medicina; seguito da un altro testo, l’editoriale del BMJ “Evidence based medicine: what it is and what it isn’t”: l’EBM integra le migliori evidenze della ricerca con l’esperienza del medico e con i valori, le aspettative e le preferenze del paziente.
Che cosa mi ha insegnato
Conobbi David nell’estate del 1998, quando ebbi la fortuna di partecipare a uno dei suoi corsi a Oxford, dal titolo “How to teach Evidence based Medicine”. Mi ritrovai in un gruppo di italiani, capeggiati da un altro grande amico purtroppo scomparso, Alessandro Liberati. Fu una settimana indimenticabile. Lavori di gruppo per metà giornata, discussioni guidate in plenaria per l’altra metà.
Si affrontavano argomenti metodologicamente rilevanti e utili per le classiche fasi del percorso EBM: la formulazione del quesito clinico, la ricerca delle fonti, il critical appraisal e il ritorno al paziente per l’applicazione delle decisioni cliniche. From patient to patient. Non si trascuravano neppure alcune questioni strategiche e relazionali, ad esempio il ruolo degli esperti e il loro rapporto con le evidenze derivanti dalla letteratura scientifica; come tenere il paziente al centro della ricerca; il rapporto tra gli studi randomizzati e quelli osservazionali; il problema del conflitto di interesse, e molti altri temi.
Nei vent’anni da allora trascorsi, ho cercato di organizzare corsi nei quali tentare a mia volta di trasmettere il pensiero del grande Dave.
Qualche piccola “perla” ricevuta grazie a lui.
In cima a tutto il ragionamento critico, l’entusiasmo e l’amore per la verità.
Non dare nulla per scontato.
Non darsi mai per vinti. Andare sempre a fondo nelle questioni, pronti a rimettere in discussione tutto e a non cullarsi nelle certezze.
Rispettare l’autorità, ma non farsi mai zittire. Reclamare la citazione delle fonti, per ogni affermazione.
Rispettare e ascoltare i pazienti.
Non separare mai il mondo della clinica dal mondo dell’epidemiologia; evitare di creare esperti dell’una piuttosto che dell’altra, ma medici entusiasti dell’una che si fonde con l’altra, capaci dunque di migliorare contemporaneamente la qualità della ricerca e della pratica clinica.